GIORNO 6. SHE MADE MY DAY.

Lo sapevo che il giorno 6 sarebbe stato un gran giorno. E lo è stato, soprattutto perché il giorno 5 hai capito che nel mondo ci sono davvero persone tristi e disperate e che tu non sei una di queste. E non parlo nè di poveri, nè di barboni, nè di criminali. E il fatto di non essere una di queste persone è motivo di gioia in ogni secondo della mia fantastica vita. Perche dopotutto sono noiosa, parlo a raffica e difficilmente sto dietro alla frenesia del mio pensiero, ma sono limpida e la vita mi ha fatto imparare il rispetto per alcune cose che difficilmente trasgredirò.
Allora quel giorno lo dedichi a cullarti tra le attenzioni di chi è lontano solo sul mappamondo e soprattutto di chi avevi rischiato di perdere per sempre. Senti ancora il nervoso che scorre nelle vene, d’altronde non è facile sbarazzarsene così. Soprattutto quando pensi a quel letto, in quel momento, con in mano un pezzo di carta dal valore inestimabile.
Senti che il posto in cui vorresti essere è davvero lontano e che non c’è modo alcuno per finirvici. Poi cerchi di distrarti tra le mura di un museo e quasi ti accorgi che non vuoi distrarti. E non lo fai. Bene,
almeno questa lezione l’hai imparata.
Attraversa. Pensa. Sviscera. Sarà l’intricata evasione da un carcere, corse, porte che ti sbattono in faccia, vie di fuga che si rivelano essere solo facili tranelli. Ti fermi, studi il ritmo, riparti. Più dedizione e concentrazione ci metti e più è probabile che tu riesca ad uscire dai memandri della tua prigione, del tuo pensiero. Scagli tutta la tua forza tra le sbarre di acciaio, gridi tutto il tuo nervoso, corri lontano. In silenzio ti rimischi tra la gente comune quando per un pò ti sei sentito essere altro. Nessuno sa che sei stato rinchiuso lì nel tuo passato, e forse non te ne ricorderai nemmeno tu. Per la libertà c’è un prezzo da pagare, ma se estingui tutto il debito allora non avrai nemmeno il tempo per ricordare cosa significasse essere rinchiuso, perchè stai realizzando in ogni secondo cosa significa esserne fuori.
Dormo. Dormo, perché in questi casi dormire è la cosa più facile da fare. Dormo, perché dormire è la cosa che mi ha fatto tirare avanti per un anno. Dormo, perché quando si dorme si sogna e io spesso faccio bei sogni. Dormo, perché domani mattina ho un aereo per New York e mi aspetto 4 giornate ad alta intensità. Dormo, perchè ho già pensato abbastanza. E dormo, perché spero che domattina non ci sia nemmeno più il nervoso. E dormendo capisco che non voglio più sapere e che forse quella persona la sento solo perché voglio continuare a sapere. Ma c’è un mondo qua fuori, che Deo gratias è ben diverso, e che cerca di allontanarmi da certe inutilità dalle quali io non sono ancora riuscita a staccarmi. Che sia ora di fare il grande passo più volte preannunciato e mai portato a termine? Che sia il caso di finally step out from that?
E poi, prima che abbassassi definitivamente le persiane sulla mia permanenza mi hanno detto che a San Francisco non c’è l’estate, senza rendersi conto che hanno detto una cosa altamente compromettente.
PRIMA ME, perché se non lo faccio io, non lo farà nessun altro.

Ps: c’era un colloquio in mezzo a tutto ciò, ma non l’ho incluso perché stonava, poiché sembra sia andato bene. Il post avrebbe perso tutta la sua drammaticità 😛

Un pensiero riguardo “GIORNO 6. SHE MADE MY DAY.

  1. Bene per il tuo colloquio andato bene!
    Per il resto, spesso le cose belle che ci accadono passano attraverso
    sentieri tortuosi, superano ostacoli impossibili, cadono e poi si
    rialzano. Alla fine arrivano a te, quando inizi quasi a non crederci più,
    improvvisamente vedi tutta la bellezza e il valore che la vita ti sta
    donando.
    Aurevoir SF, welcome NYC

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