Goodbye, Massimo Vignelli, goodbye.

Cerco di non trattare mai argomenti tristi, ma in questo caso ritengo giusto e doveroso dedicare un pensiero e due parole a un grande artista che si è distinto nel mondo del design in modo eccelso e che ieri si è spento in quel di New York, dove viveva da anni.

Vignelli

Una delle leggende del design italiano, per chi ancora non lo conoscesse, noto soprattutto per la sua iconica e a dir poco controversa versione della mappa della metropolitana di New York realizzata negli anni ’70.

Impegnandosi sempre a raffinare la tradizione moderna, cercava che il suo design fosse

“visually powerful, intellectually elegant, and above all timeless”

uno dei tanti slogan presenti nel suo studio a New York, Vignelli Associates, che ha fondato nel 1971 con sua moglie Lella.

“Se puoi disegnare una cosa, puoi disegnare tutto” era solito ripetere. Ha aiutato a definire il territorio visuale e cultura del ventesimo secolo lavorando per brand del calibro di American Airlines, IBM, Bloomingdale’s, fino agli elettrodomestici, libri, pezzi di arredamento, mostre, grafica, font e interior design.

Vignelli ha vinto premi tra i più prestigiosi nell’ambito del design, compresa la medaglia d’oro AIGA nel 1983, sempre in compagnia della moglie Lella, il primo Presidential Design Award consegnato da Ronal Reagan nel 1985 , e la National Arts Club Gold Medal for Design nel 2004, per terminare con il premio alla Carriera da parte del Cooper Hewitt National Design Museum più recentemente, nel 2005.

Nato a Milano nel 1931, nel periodo immediatamente antecedente la Seconda Guerra Mondiale, spesso ha dovuto affrontare situazioni inusuali come abbandonare le lezioni a scuola a causa dei bombardamenti in atto. “Non so come sono sopravvissuto” ha dichiarato al quotidiano Epoch Times nel 2012, dicendo di aver scoperto che i bambini hanno un istinto di sopravvivenza che va oltre ogni confine immaginabile. Comunque ci ha sempre tenuto a rimarcare la sua fortuna, credendo di essere nato in una generazione fortuna e che se così non fosse stato, non avrebbe mai avuto la possibilità di essere in guerra e di imparare lo sforzo e la dedizione che poi lo ha aiutato a diventare un designer.

Già da teenager era “ossessionato” dal design, da quando sua madre lo portò a vedere la casa di un’amica interior designer. Prima di allora non aveva mai realizzato che tutto ciò che si trovava attorno a lui fosse stato disegnato e progettato interamente da esseri umani: questa idea rese tutto molto accattivante. Così inizio a leggere e studiare libri e magazine di design, tutti quelli a cui poteva accedere, passando così il suo tempo libero a disegnare nella sua stanza.

A 16 anni iniziò a studiare e lavorare nell’ufficio di un architetto. A 18 anni studiò prima al Politecnico di Milano e poi alla Facoltà di Architettura a Venezia. Pochissimo tempo dopo frequenteva gli stessi circoli di architettura in cui bazzicavano nomi del calibro di Le Courbusier, Mies van der Rohe, Alvar Aalto e Charles Eames.

Vignelli conobbe sua moglie Lella a un congresso di architettura e si sposarno nel 1957. Dopo tre anni fondarono un “office of design and architecture” a Milano, disegnando e progettando per brand europei come Pirelli, Rank Xerox e Olivetti. La coppia si trasferì a New York City nel 1965 e nel 1971 aprirono il loro studio Vignelli Associates.

Il suo arrivo a New York è stato senz’altro drastico, con il redesign della New York City subway map. Dopo che la mappa è stata introdotta del 1972 le critiche sono piovute incessantemente; stazioni leggermente spostate, la strana forma quadrata di Central park, l’acqua color beije anzichè blu, … esistevano anche al tempo i focus group, ma, giustamente (n.d.s.), Vignelli  non li riteneva affidabili e l’intero processo di supervisione fu saltato. Così la cartina, anziché intricarsi in combinazioni difficoltose, era diventata un vero e proprio diagramma. Ovviamente solo i “design geeks” apprezzarono la traslazione elegante di quella che è invece una realtà sicuramente confusionaria.

Nonostante la MTA optò per una nuova versione nel 1979, Vignelli nel 20122 fu incaricato di creare una versione interattiva della stessa io occasione del MTA “Weekender” program.

Vignelli era molto preparato ed efficiente nell’articolare la sua filosofia, i suo aforismi infatti sono altrettanto eleganti, “la giusta forma dell’oggetto è il significato dell’oggetto stesso”, disse in un’occasione per descrivere la preferenza su un processo creativo che indagava le forme.

Negli ultimi anni ha scritto numerosi libri, con l’obiettivo di diffondere la sua saggezza e la sua visione a giovani creativi, tra questi The Vignelli Canon(2009) e Vignelli A to Z (2007). Nel libro di Debbie Millman, How to Think Like A Great Graphic Designer, ha offerto una grande spiegazione di quello che il design rappresentava:

 

It is to decrease the amount of vulgarity in the world. It is to make the world a better place to be. But everything is relative. There is a certain amount of latitude between what is good, what is elegant, and what is refined that can take many, many manifestations. It doesn’t have to be one style. We’re not talking about style, we’re talking about quality. Style is tangible, quality is intangible. I am talking about creating for everything that surrounds us a level of quality.

 

Termino con una mia riflessione, che parte dal fatto che avrei voluto fare questo post un paio di settimane fa, quando Vignelli era ancora in vita e quando suo figlio, consapevole del suo grave stato di saluto, ha inviato un commovente messaggio a tutto il mondo del design e non solo.

Il messaggio chiedeva che chiunque fosse stato influenzato o ispirato dal lavoro del padre, gli scrivesse una lettera.

“Designers from all over the world penned notes of appreciation, awe, and gratitude to the man who’s been called the “grandfather of graphic design,” and many posted those letters online as well, with the hashtag #dearmassimo. The outpouring of love from the design community is perhaps a stronger testament to Vignelli’s influence than even the most prestigious award.”

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Mr. Vignelli said he would have liked the job of developing a corporate identity for the Vatican. “I would go to the pope and say, ‘Your holiness, the logo is O.K.,’ ” he said, referring to the cross, “but everything else has to go.”

The New York Times

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