Dopo più di un anno, non me la sento più di parlare di “periodo” o di riferirmi a quello che sta succedendo come a qualcosa di passeggero, mi aiuta molto avere una visione più realistica dei fatti rispetto a trascinare la speranza che qualcosa possa cambiare dall’oggi al domani. Viviamo in un nuovo presente che è caratterizzato dall’incertezza; non che prima non fosse così, ma l’illusione che si potesse prevedere il domani sembrava stare in piedi dandoci una maggiore sensazione di serenità. E così, un po’ come quelle persone che si definiscono asociali e che ora confessano che anche a loro manca la socialità, io, che mi definisco “a-routinaria” a mio agio tra sbandate e i cambi di direzione, sono arrivata ad accusare la mancanza di ritmo nella mia quotidianità 🙂
Questa continua riprogrammazione delle regole del contesto in cui ci troviamo porta con sé una serie di costanti micro aggiustamenti di ciò che facciamo: dalla gestione delle attività più basilari alla pianificazione del lavoro con dinamiche che sempre più ricordano il gioco del Tetris. La velocità sembra aumentare e mi chiedo: mettere in pausa, anche solo per poco, servirebbe davvero a risolvere qualcosa? Come possiamo rimanere in una zona dove tutto scorre (la vita), senza che la velocità diventi un vortice capace solo di risucchiare e di lasciarci sempre più nervosi e agitati o affaticati e stanchi?
Nell’ultimo anno ho pensato molto a quali strategie potessero aiutarmi e aiutare a non soccombere tra tutte queste iper sollecitazioni da cui veniamo costantemente bombardati (sia per tutti i cambi di regolamentazioni che per l’aumento del tempo* che passiamo davanti agli schermi del mondo digitale). Cosa ci può aiutare a non essere costantemente in uno stato di stress e solo “succubi” di quello che accade attorno a noi, e invece poter fare qualcosa per essere al centro del fare. Un fare per sé che nutra e che, seppur a volte stancante, dia una sensazione di soddisfazione?
Qui per me arriviamo al punto: stare e restare al lavoro. Ma in che modo? Lavoro non inteso come il posto in cui lavoro, ma costruire modi di lavorare per sé e adottare strategie per restare connessi a dinamiche che diventino nutrimento, sostegno e che ci riportino con l’attenzione su di noi, non fuori da noi.
A proposito di questo, alcuni giorni fa ho letto questo tweet: My favorite part of quarantine is that we were all forced to be alone with our thoughts for a little bit and everyone was like “Absolutely not. I will learn to bake bread from scratch.” A me ha fatto sorridere… è molto vero!
Correre per correre e sfogarci, fare aumentare le endorfine e stare meglio per un po’ o correre per imparare qualcosa di nuovo su di noi, provare a portare il corpo in nuovi stati, farne qualcosa di quello che impariamo correndo? Studiare/formarsi per colmare spazi vuoti o per costruire qualcosa di nuovo che ci appassioni, che ci metta in discussione e al lavoro nel confronto con altri? Lavorare per timbrare il cartellino e avere lo stipendio o per far sì che il presente sia un viaggio di esplorazione e non un momento da cui non vedere l’ora di evadere per un aperitivo o per le ferie? Fare yoga per stare bene dopo quell’ora di yoga o costruire un sapere di sé che diventi davvero qualcosa di utile da spendere nella vita quotidiana?
Vogliamo continuare a vivere “fuori” o possiamo gradualmente trovare spazi, tempi e anche persone dove e con cui poter coltivare l’ascolto e il nutrimento del sé per imparare anche come poter gestire al meglio le difficoltà che viviamo tutti i giorni?
Come sempre non c’è una risposta preconfezionata valida per tutti o per categorie di persone, ma tutta una serie di tecniche e strategie che possiamo mettere al lavoro, appunto, per conoscerci e imparare a osservare e regolare i nostri modi di stare. Alcuni di questi li studiamo sul tappetino, altri quando ci prendiamo il tempo di condividere quello che abbiamo potuto osservare… per questo abbiamo iniziato una serie di incontri mensili che si chiamano “Community work: conoscere e riconoscere gli stati del corpo”. Se questi argomenti suscitano il vostro interesse e volete qualche informazione in più rispetto a questi incontri scrivetemi su info@yogalifederica.com.

Ciao bimba.
Leggerti è sempre una grande gioia!
Bacioni ad entrambi.
Un caro saluto ad Enrico!
PapÃ
Grazie Federica per le tue preziose condivisioni…. Sempre in modo delicato ma attento… A presto😉